Presentazione catalogo e talk

Mercoledì 4 dicembre è stato  presentato al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo il focus dedicato a Elena Bellantoni negli spazi della Videogallery, powered by In Between Art Film: in programma la proiezione di 5 significativi lavori video dell’artista, che ripercorrono i suoi ultimi anni di produzione e la presentazione del nuovo progetto On the Breadline (2019), vincitore della IV edizione di Italian Council (2018) con il lancio del catalogo edito da Quodlibet edizioni e la proiezione di un estratto dell’opera.

A seguire  dialogo tra l’artista, la curatrice del progetto Benedetta Carpi De Resmini e gli autori dei saggi, Stefano Chiodi e Riccardo Venturi che hanno delineato sapientemente la ricerca e il percorso dell’artista nei mesi di lavoro.

On the Breadline è un progetto artistico itinerante che ha visto impegnata l’artista durante tutto l’arco del 2019 in quattro città europee: Belgrado, Atene, Istanbul e Palermo.
Durante la ricerca, in ogni città, l’artista ha realizzato un’opera video insieme a cori femminili che hanno intonato, nella propria lingua, il canto di protesta Bread & Roses, che trae origine da una frase di un discorso del 1912 di Rose Schneiderman, leader femminista socialista statunitense, declamato durante un importante sciopero di lavoratrici. L’elemento del coro, così come quello del pane, sono essenziali per On the Breadline perché diventano lo strumento per raccontare attraverso parole, suoni e immagini, le rivolte sociali, politiche che sono insite nelle radici di ogni paese.

On the Breadline è un progetto realizzato grazie al sostegno della Direzione Generale Creatività contemporanea e Rigenerazione urbana del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo nell’ambito del programma Italian Council (2018) ed è promosso da Wunderbar Cultural Projects.
L’opera video a quattro canali entra a far parte della collezione permanente delle opere multimediali dell’Istituto Centrale per la Grafica, Roma.

Il puzzo

«Chissà se il buon Dio perdonerà Palermo», canta, come una preghiera, Carmen Consoli in un brano dedicato all’Esercito silente di una Palermo «baciata da sole e mare», che fa i conti con «antichi rancori e ferite aperte» e che ogni giorno lotta per il riscatto: rispetto al passato insanguinato e al presente di chi non vuole che la città cambi.

Tutte queste cicatrici sono scritte sulle strade di questa città.  Qui scorrono fiumi di sangue e questo non lo si può negare, sono visibili negli scatti di Letizia Battaglia, che ho incontrato in questi giorni, nell’ultimo film di Maresco appena presentato a Venezia che tenta di portate proprio allo Zen un “festival” dedicato a Borsellino e Falcone. La bruttezza, la violenza, esplode nella sua veste più grottesca quella di chi diviene vittima della propria indifferenza non solo per colpa sua, ma per un Paese intero che ha fatto dell’ignoranza e della paura la sua arma migliore durante la campagne elettorali.

Le parole di Paolo Borsellino pronunciate il 23 giugno 1992, alla commemorazione di Giovanni Falcone, rimbombano nella mia testa da quell’anno in cui io mi affacciavo verso la mia piena adolescenza: la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Considero il 1992 per la mia generazione, e non solo, uno spartiacque. È un anno in cui il futuro, le grandi speranze – forse quelle che sono andata a cercare in questi mesi– sono morte definitivamente. Da quel punto in poi l’Italia è cambiata, nella nostra politica è arrivato subito dopo un nuovo dominus, ed il resto della storia la conosciamo bene…

 

Alla Fiera dell’est

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Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò… 

Sono alla Ex Fiera del Mediterraneo che per anni ha rappresentato un luogo di svago, di condivisione e di speranza verso il futuro dei palermitani. La Fiera raccoglieva i grandi espositori, 83000 mq, che in diversi enormi capannoni mostravano le novità sul mercato. 

Tra oggetti avveniristici legati al progresso, panini e panelle e altro cibo esotico esposto dai padiglioni Arabi, in dotazione alle Ambasciate straniere, le domenica in famiglia si consumava in questo posto. Le grandi speranze si sono guastate con il tempo, attualmente resta solo il padiglione 20 utilizzato solo per qualche iniziativa. 

Dall’alto vigila il monte Pellegrino con il castello Utveggio, quest’ultimo è considerato l’occhio che controlla la città. Negli anni duri della Palermo delle stragi si presume che il castello possa essere stato una “sede occulta” e che l’esplosivo di via d’Amelio – del giudice Borsellino – possa essere stato innescato da un telecomando a distanza proprio da questo posto.

Cammino in tra le strade alberate della fiera, dove la natura è esplosa letteralmente cercando di riprendersi la morte che l’uomo ci ha buttato sopra. L’incuria e l’abbandono hanno generato una sorta di giardino selvatico – caro a Gilles Clement – quasi un Antropocene al contrario. È l’unica città in cui sento forte questo legame con una natura ribelle e istintiva che racconta bene del carattere resistente di questa gente.

 

La Zona

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La prima scena di Stalker, film di  Andrej Trakovskij, introduce lo spettatore nella dimensione narrativa del viaggio. In quello che pare essere un futuro non troppo lontano, due uomini, che lo Scrittore e  il Professore e partono insieme.

La destinazione è la Zona. Non si sa precisamente che cosa sia la Zona, è certamente uno spazio inaccessibile agli uomini, di cui le autorità ne vietano l’ingresso. Solo gli Stalker (il nome deriva dal verbo inglese to stalk, muoversi furtivamente) possono accompagnare altre persone nella Zona. All’interno della Zona si trova una Stanza, in cui ogni uomo, può vedere realizzato il suo desiderio più puro, più intimo e sincero. Ecco, forse questo viaggio mi ha portato fin qui. Sono partita con tante domande sulla breadline e insieme a 100 donne, passando per luoghi abbandonati, distopici, ci siamo trovate sulla soglia della nostra “zona” pronte ad entrare in una nuova dimensione.

 

 

Tornare

Nella lista dei miei verbi transitivi c’è anche tornare, partivo da Belgrado mesi fa, ora rientro in Italia passando da questa costa: la porta che guarda l’Africa e l’Europa. È come se questo fazzoletto di terra racchiudesse le divisioni, le questioni politiche, il retroterra culturale che ho attraversato in questi mesi: sono nel cuore del Mediterraneo.

Arrivo con una diversa consapevolezza in questo luogo. Mi porto dietro tutto quest’anno di lavoro fatto di incontri e ricerca. Non sto solo tornando in Italia, mi porto dietro la mappa cucita addosso di questo percorso che si è impastato nei mesi, le briciole che ho seguito hanno creato un nuovo elemento.

 

L’Approdo

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Sono arrivata dal mare per quest’ultima tappa, ho deciso di raggiungere la Sicilia passando per l’acqua. La mia nave salpa mentre guarda Napoli che brilla di luci, sono le 21:30 del 23 Agosto 2019.

Palermo è tutto porto… mi raccontava esattamente un anno fa Fiammetta Borsellino, ero qui per Manifesta 12 per un altro progetto e le sue parole mi sono rimaste incise dentro.

Stamattina correndo lungo il Foro Italico mi sono fermata a guardare una giovanissima di colore che con le mani accarezzava il mare e cercava di stare in equilibrio sul filo dell’orizzonte. 

Bibi è cieca, non vede, sfiora e sorride mentre continua a rivolgersi a quel confine di mare da dove è giunta anche lei. 

La Sicilia mi accoglie ad occhi chiusi e braccia aperte – come quelle di Bibi – con lo slancio di chi cerca un posto dove continuare a giocare.